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Perché insegnare in inglese potrebbe non essere una buona idea

La ricerca suggerisce che gli studenti imparano meglio nella loro lingua madre, e l’inglese non riesce preparare studenti internazionali per un lavoro post laurea, afferma Michele Gazzola.
Se insegnare o meno in inglese è diventato un grande dilemma per le università in tutto il continente europeo.
Il numero di lauree triennali e specialistiche europee nelle quali gli insegnamenti sono tutti in lingua inglese era di 725 nel 2001, 2389 nel 2007 e 8089 nel 2014. Si tratta soltanto del 6% di tutti i programmi universitari in Europa, ma si tratta di un fenomeno in rapido aumento, soprattutto a livello di laurea specialistica e in alcune discipline. Tuttavia un’altra ricerca ha mostrato delle resistenze rispetto al cambiamento da parte degli studiosi.
Il passaggio all’inglese nella ricerca e nell’insegnamento in molte università europee è essenzialmente l’effetto collaterale della diffusione delle graduatorie internazionali delle università. Gli indicatori utilizzati in queste graduatorie premiano la percentuale di studenti internazionali iscritti. Nonostante molti sostengano che le graduatorie siano fondate su una metodologia discutibile e che non valutino correttamente la qualità della ricerca e dell’insegnamento, i giornali e i blog li citano senza tregua.
L’utilizzo delle graduatorie perciò comporta sfortunatamente gravi problemi per le università nel continente. In alcuni stati il passaggio all’inglese ha portato a controversie legali ai livelli più alti. La Corte Costituzionale italiana, per esempio, ha recentemente deciso che l’uso esclusivo dell’inglese nell’insegnamento viola la Costituzione italiana.
Inoltre insegnare in inglese riduce la qualità dell’insegnamento. La Conferenza dei Rettori delle Università tedesche, in una risoluzione ampiamente diffusa, ha posto l’accento su questo rischio. Per esempio, uno studio condotto su 139 studenti universitari austriaci con una buona conoscenza dell’inglese ha esaminato il loro livello di comprensione di una lezione in inglese tenuta da un professore madrelingua italiano con un’ottima padronanza dell’inglese.
Il contenuto della lezione era capito meglio dagli studenti quando l’insegnamento era interpretato in tedesco da un interprete professionista, invece di ascoltare direttamente la versione originale in inglese. Ancora più importante, un insegnamento tenuto direttamente in tedesco da un madrelingua ha un’efficacia maggiore in termini comunicativi quando il pubblico è germanofono.
Alla fine quello che importa di più nel mercato del lavoro sono le conoscenze tecniche acquisite dagli studenti e queste sono meglio acquisite attraverso la propria lingua madre.
Emerge infine che l’insegnamento in inglese non è sufficiente per attrarre e trattenere studenti internazionali. In Olanda, secondo i dati ufficiali pubblicati dal Ministero dell’istruzione olandese, soltanto il 27% degli studenti internazionali lavora in Olanda dopo aver ottenuto una laurea inglese in questo paese, mentre il 70% ha detto che voleva rimanervi ma che alle fine ha rinunciato.
Una delle ragioni che disincentiva gli studenti internazionali a rimanere in Olanda è la loro mancanza di conoscenze della lingua olandese. Aver studiato per due o tre anni soltanto in inglese ostacola lo sviluppo di una buona conoscenza della lingua locale e così è più difficile per uno paese riuscire a trattenere i diplomati dopo la fine degli studi.
Risultati simili emergono da una intervista svoltasi in Germania su 302 studenti formatisi a livello seguendo corsi tenuti esclusivamente in inglese. Le università europee non dovrebbero adottare l’insegnamento solo in inglese, ma piuttosto muoversi verso un vero insegnamento multilingue, così da permettere agli studenti internazionali di sviluppare un bagaglio di conoscenze che includa un’ottima padronanza della lingua locale.

Fonte: timeshighereducation.com, 22/11/17

Michele Gazzola